Noi siamo qui: la Cisgiordania

Noi siamo qui: la Cisgiordania

Il progetto Bee the Change opera in Cisgiordania, dal 1967 occupata militarmente da Israele. La storia dell’enclave palestinese tra muro, colonie e limitazione dei diritti dei palestinesi

La Cisgiordania è un territorio senza sbocco al mare sulla riva occidentale del fiume Giordano. Insieme alla Striscia di Gaza e alla parte orientale di Gerusalemme fa parte dei Territori occupati palestinesi. Prima della Prima Guerra mondiale la Cisgiordania era parte dell’impero ottomano e rientrava nella provincia di Siria. Alla conferenza di Sanremo del 1920, però, la vittoria delle forze alleate l’assegnò alla Gran Bretagna grazie all’istituzione del Mandato.

La guerra arabo-israeliana del 1948 portò alla creazione d’Israele mentre la Cisgiordania passò nelle mani della Giordania. Il regno hashemita l’amministrò fino al 1967 quando, durante la cosiddetta “Guerra dei Sei giorni”, l’area, assieme alla Striscia di Gaza e alla parte orientale di Gerusalemme, fu occupata militarmente dagli israeliani.

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L’accordo ad interim sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza (noto come Oslo II), firmato da Israele e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) il 28 settembre 1995, ha diviso la Cisgiordania in tre zone amministrative: Area A (il 18% del suo territorio) che include tutte le grandi città palestinesi, capoluogo di governatorato, e la maggior parte della sua popolazione in Cisgiordania; Area B (il 22%) che comprende ampie aree rurali dove Israele mantiene il controllo della sicurezza laddove le questioni amministrative spettano all’Autorità nazionale palestinese (Anp); Area C (il 60%) dove lo Stato ebraico ha il controllo sia dal punto di vista della sicurezza che amministrativo. Qui l’Anp è responsabile per i servizi educativi e sanitari per la popolazione palestinese residente in questa zona. Tuttavia, la costruzione e il mantenimento delle infrastrutture restano in mano israeliana. Le questioni civili in Area C sono responsabilità dell’Amministrazione Civile israeliana.

Secondo gli accordi di Oslo II, la divisione in aree doveva essere temporanea e l’autorità su tutti i territori della Cisgiordania sarebbe dovuta passare gradualmente all’Autorità palestinese. L’intesa, infatti, non rispondeva ai bisogni a lungo termine della popolazione cisgiordana. Tuttavia questo carattere “temporaneo” e “provvisorio” è ancora in vigore nonostante siano passati oltre 26 anni.

Nell’Area A e B vivono oltre 2,4 milioni di palestinesi separati in 164 unità di terra che non hanno contiguità territoriale. Le zone che circondano l’Area A e B furono definite Area C che comprende quasi interamente tutta la parte est della Cisgiordania dai versanti orientali delle montagne centrali fino al fiume Giordano. Fanno parte di questo territorio anche ampie fette di territorio che si trovano nella zona centrale e occidentale della Cisgiordania.

L’AREA C

L’Area C include tutte 125 le colonie ufficiali israeliane così come ampi tratti di territorio sotto la giurisdizione dei consigli regionali e locali delle colonie. Queste aree corrispondono circa a 210.000 ettari (circa il 63% dell’Area C). A partire dalla metà degli anni 90, circa 100 avamposti illegali colonici – fondati senza permesso formale delle autorità statali, ma con la loro assistenza e incoraggiamento – sono stati creati in area C. Alla fine del 2011 circa 325mila coloni vivevano in questa porzione di territorio.

Il numero preciso dei palestinesi presenti in area C è sconosciuto. Secondo la ong israeliana Bimkom, sarebbero 200mila mentre per l’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari) sono 300mila. Bimkom e Ocha concordano che sono 60mila i palestinesi che risiedono in almeno 180 villaggi e comunità che fanno parte dell’Area C; mentre il resto, tra 140mila e 240mila vive in circa 290 villaggi e città. Solo alcune aree edificate di queste comunità si trova in Area C, il resto è in Area A e B.

In Area C vivono in tende, baracche di lamiera o grotte, più di 20mila beduini. La popolazione beduina ha un accesso molto limitato ai servizi e non è allacciata alla rete idrica né dispone di infrastrutture sanitarie ed elettriche. Secondo l’agenzia Onu per gli affari umanitari, il 34% dei beduini è a rischio d’insicurezza alimentare, laddove questo dato è in Area C del 24% e del 17% in Area A e B.

In Area C Israele limita fortemente l’insediamento, le costruzioni e lo sviluppo delle comunità palestinesi e nello stesso tempo ne ignora i loro bisogni. Da un punto di vista pratico questo vuol dire che i palestinesi non ricevono permessi per costruire case e sviluppare i loro centri vivendo sotto la paura costante di vedere demolite le proprie abitazioni o di essere espulsi.

L’Area C dispone della maggior parte delle riserve di terra per l’intera popolazione palestinese della Cisgiordania. Queste zone non solo permetterebbero lo sviluppo e l’espansione delle loro comunità, ma potrebbero essere sfruttate anche per costruire infrastrutture come impianti per il trattamento delle acque o aree industriali che non possono essere situate vicino alle aree residenziali. Inoltre, sarebbero necessarie per lo sviluppo dell’economia della Cisgiordania, soprattutto per l’attività estrattiva dei minerali, per le fonti d’acqua, l’agricoltura, il pascolo e il turismo.

IL MURO

L’occupazione israeliana della Cisgiordania si è fatta ancora più dura per la popolazione palestinese quando nel giugno del 2002 il governo israeliano ha deciso di erigere una barriera fisica che separa Israele dalla Cisgiordania con l’obiettivo dichiarato di regolare l’entrata dei palestinesi della Cisgiordania in Israele. In molte aree, quella che Tel Aviv definisce “Barriera di separazione” si presenta come una recinzione elettrificata affiancata da filo spinato e trincee. La sua larghezza media è di 60 metri. Tuttavia, in alcune zone, essa si presenta come un muro di cemento alto dai sei agli otto metri.

L’intera lunghezza della barriera – quella già costruita, quella in costruzione e quella ancora da fare – è di 709 chilometri, due volte la Linea Verde, il confine ufficiale tra Israele e Cisgiordania tracciato nel 1948.


Di fronte alla decisione di Tel Aviv di costruire la barriera di separazione seguendo un tracciato che in più punti trasborda il teorico confine tra Israele e Palestina, i palestinesi hanno a più riprese denunciato il piano israeliano firmando numerose petizioni.

Nel giugno del 2004 la Corte Suprema israeliana ha affermato che il percorso attorno i villaggi palestinesi nella zona nord occidentale di Gerusalemme era per la gran parte illegale e che, pertanto, lo stato avrebbe dovuto presentare un nuovo piano. In seguito a tale decisione, l’allora premier israeliano Ariel Sharon ordinò all’apparato di sicurezza di rivedere l’intero percorso che fu ripresentato emendato nel febbraio del 2005.

Il 9 luglio dello stesso anno intervenne sulla questione anche la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). L’ICJ emise un parere consultivo secondo cui il muro che Israele stava (e sta) costruendo in Cisgiordania rientrava nell’illegale sistema israeliano di insediamenti e annessioni. La corte internazionale di giustizia chiedeva pertanto a Tel Aviv di cessare la sua costruzione, di abbattere le sezioni già costruite e pagare i risarcimenti per i danni causati.

Nonostante le modifiche apportate dall’esecutivo Sharon, nel settembre del 2005 la Corte Suprema di Giustizia israeliana stabilì nuovamente che Tel Aviv avrebbe dovuto cambiare il percorso della barriera attorno all’insediamento colonico di Alfei Menashe perché rendeva di fatto enclave i villaggi palestinesi di Wadi Rasha e Ras at-Tira. Due anni dopo, sempre l’Alta Corte di Giustizia stabilì che anche il muro che circondava Bil’in doveva essere modificato perché privava il villaggio palestinese in questione di 700 dunam di terra i quali venivano confiscati per espandere la colonia israeliana di Modi’in  Ilit. Alla fine, nonostante la modifica, 1.500 dunam delle terre di Bil’in continuano a restare a ovest della barriera di Separazione.

Non un caso unico del resto. L’85% del percorso del muro è all’interno della Cisgiordania, non lungo la Linea Verde. Nelle zone dove la barriera è già realtà, le violazioni dei diritti umani a danno dei palestinesi sono evidenti. In primo luogo Israele ha imposto restrizioni al movimento della popolazione locale, aggravando un quadro già di per sé difficile dallo scoppio della Seconda Intifada nel 2001.

Migliaia di palestinesi hanno difficoltà a raggiungere i loro terreni e a recarsi in altri luoghi della Cisgiordania a causa del Muro e dei checkpoint israeliani. Ad essere colpita è stata l’economia locale soprattutto se si considera che le terre più fertili cisgiordane si trovano ad ovest della barriera. Qui, secondo la Banca Mondiale, viene prodotto l’8% della produzione agricola totale palestinese.

Le restrizioni sul movimento fanno sì che i palestinesi abbiano enormi complicazioni per raggiungere villaggi o città vicine. Ma non solo: ad essere danneggiato è anche il sistema educativo perché molte scuole – soprattutto quelle delle comunità più piccole – dipendono da insegnanti che vivono fuori il paese dove insegnano e dove devono recarsi ogni giorno per lavorare. Inoltre, anche i rapporti sociali vengono profondamente intaccati dalla presenza della barriera: le famiglie sono di fatto separate tra di loro dal muro e spesso luoghi vicini divengono irraggiungibili.

Israele sostiene che la costruzione del muro serve a proteggere i cittadini israeliani dagli attacchi palestinesi. Tuttavia, la Barriera è stata costruita soprattutto in territorio palestinese e molte aree, grazie alla sua presenza, sono entrate ufficiosamente a far parte d’Israele. Quando sarà completata, il 9.5% della Cisgiordania, con 60 colonie, sarà nel lato occidentale “israeliano”. Per molti politici israeliani il muro costituisce il futuro confine dello stato ebraico.

LE COLONIE

Tra i temi più spinosi da risolvere per dare alla luce uno Stato palestinese indipendente, c’è sicuramente la questione degli insediamenti coloniali. Dal 1967 alla fine del 2013, sono state fondate 125 colonie in Cisgiordania riconosciute come “comunità” dal ministero degli Interni israeliano.

Nello stesso periodo sono stati creati anche:

– circa 100 avamposti militari (colonie costruite senza un’autorizzazione ufficiale, ma con il sostegno e l’aiuto dei ministeri);

– alcune colonie all’interno di Hebron che hanno ricevuto il sostegno da parte dei governi israeliani;

– 12 quartieri in Cisgiordania assegnati alla giurisdizione del governo israeliano.

– Tel Aviv ha anche fondato e sostenuto la fondazione di varie enclave coloniche a Gerusalemme est che per la legge internazionale e gli Accordi di Oslo è un territorio occupato ed è capitale del futuro stato di Palestina;

– 16 insediamenti nella Striscia di Gaza e quattro nell’area settentrionale della Cisgiodania smantellati nel 2005 nel corso del “Piano di Disimpegno”.

I coloni presenti in Cisgiordania sono circa 547.000: alla fine del 2013, 350.000 vivevano in Cisgiordania mentre 196.890 nelle colonie israeliane all’interno di Gerusalemme est.

L’esistenza degli insediamenti israeliani comporta una serie di violazioni dei diritti umani a danno dei palestinesi tra cui: furto di proprietà e terra, ineguaglianze, un differente standard di vita tra coloni e palestinesi, limitazioni di movimento. Inoltre, l’esistenza delle colonie impedisce la possibilità della creazione di uno stato palestinese indipendente e sostenibile.

Gli insediamenti occupano solitamente ampie aree di territorio che vanno molto al di là della parte urbanizzata. Le zone in cui sorgono sono dichiarate militari e l’accesso ad esse è impedito ai palestinesi se non con permessi speciali. In generale, le colonie e le porzioni di territorio sotto la giurisdizione dei consigli regionali israeliani occupano il 63% dell’Area C (che è sotto il pieno controllo di Tel Aviv) dove ai palestinesi, a differenza dei coloni, non è permesso di costruire o svilupparsi.

Sebbene la Cisgiordania non sia parte del territorio israeliano, le colonie e i coloni sono soggetti alla legge israeliana. Da qui ne deriva un’immediata conseguenza: i settler godono degli stessi diritti degli israeliani che vivono all’interno della Linea Verde (Israele) a differenza dei palestinesi che continuano a vivere sotto la legge marziale e sono sistematicamente privati dei loro diritti e di poter disporre liberamente dei loro territori.

La fondazione degli insediamenti colonici è contraria al diritto internazionale che afferma che una potenza occupante non può fare cambiamenti permanenti ad un territorio che ha occupato e impedisce allo stato occupante di trasferire i suoi cittadini nel territorio occupato. Le autorità israeliane hanno pertanto implementato una politica di sistematica violazione del diritto internazionale incoraggiando con benefici finanziari e incentivi economici i propri connazionali ad abitare in Cisgiordania.